Con ordinanza n. 10371/20, la Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis della l. n. 69 del 22 aprile 2005, come introdotto dall’art. 6, co. 5, lett. b), della l. n. 177 del 4 ottobre 2019, in riferimento agli artt. 3, 11, 27, co. 3, e 117, co. 1, Cost., nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione europea sia eseguita in Italia, conformemente al suo diritto interno.
Avevamo già trattato dell'anomalia della legislazione italiana e dei profili di incompatibilità con il diritto dell'Unione europea (si veda qui).
A nostro avviso, dunque, la scelta di chiamare in causa la Consulta risulta del tutto ineccepibile, così come le argomentazioni poste a fondamento dell'articolata ordinanza di rimessione.
In primo luogo, vi è un persistente profilo di incompatibilità fra la normativa italiana e il diritto dell'Unione europea, giacché l'art. 4, par. 6, della Decisione Quadro 2002/584/GAI - che prescrive la facoltà dell’autorità giudiziaria di rifiutare la consegna del condannato ai fini dell'esecuzione della pena detentiva quando si tratti di persona che “dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda” - non contempla alcuna distinzione a seconda della nazionalità (UE o extra-UE) del soggetto.
In secondo luogo, appare esservi un'ingiustificata differenziazione all'interno della stessa l. n. 69/2005, in quanto per il MAE esecutivo l'art. 18-bis, lett. r), restringe la nozione di "persona ricercata" alle sole figure del cittadino italiano e di altro Stato UE, mentre per il MAE processuale l'art. 19, co. 1, lett. c), non fa alcuna distinzione a seconda della nazionalità della persona richiesta, consentendo al cittadino o al residente in Italia (anche se cittadino di uno Stato terzo) di essere rinviato in Italia per scontare la pena eventualmente emessa dallo Stato estero. In altre parole, per il MAE processuale si ammette la possibilità di esecuzione della pena in Italia anche per i cittadini di Stati terzi che vi risiedono, mentre la si esclude per il MAE esecutivo emesso nei confronti della medesima persona. Tale differenziazione risulta priva di qualsiasi coerente giustificazione sul piano logico-sistematico.
In terzo luogo, la scelta del legislatore finisce per frustrare del tutto il principio della finalità rieducativa della pena che, per ovvie ragioni, non può subire indebite restrizioni unicamente in ragione del dato nominale della nazionalità. L'esclusione a priori della possibilità per il residente cittadino extra-UE di scontare la pena in Italia non consente di perseguire la "risocializzazione" attraverso la conservazione, per quanto possibile, dei legami familiari e sociali durante la fase di esecuzione della pena.
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